caterina rigobianco
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Ora stiamo osservando con cura un fiore di petunia viola, che abbiamo coltivato attentamente nell'aiuola delle piante originarie dell'America Meridionale, ma un'erbaccia alta e dritta da cui pendono diverse foglioline disturba il nostro ordine e procediamo ad afferrarla saldamente per estirparla. Ecco! Mentre con il pugno chiuso nella presa dell'immonda sterpaglia osserviamo la zolla di terra bagnata che è venuta via insieme alle radici che abbiamo strappato, il nostro compagno si affretta ad indicare un'altra erbaccia da estirpare, e allora procediamo, ma non è l'ultima, ce n'è un'altra e un'altra ancora tutto intorno. Mentre assolviamo al nostro compito del lutto, il nostro compagno adesso indica le pozze bagnate che ci siamo lasciati tutto intorno, ma quelle che sembrano pozzanghere in mezzo al nostro giardino prosperoso ora assumono l'aspetto di sorgenti zampillanti. Allora ancora il nostro compagno ci indica qualcosa che sta alle nostre spalle. Ci voltiamo, è il cancello del giardino, il nostro compagno però indica quello che possiamo vedere attraverso le inferriate: un oceano di zuppa. Insieme apriamo il cancello e ci sporgiamo sulla zuppa. Ora il nostro mondo-giardino appare come un grosso isolotto che galleggia in balia delle onde, punteggiato dalle sorgenti del brodo, che piano piano si sta riprendendo le piante che abbiamo ritagliato nel tempo.